Via Marano deriva direttamente da marrano, il modo in cui erano chiamati gli ebrei convertitisi al cristianesimo; via Gisira, invece, prende il nome dalla tassa versata dagli ebrei, per la libertà di culto. A Catania, non è mai esistito un «ghetto» ebraico. Giudecca, del resto, è proprio un termine tipico del Sud Italia, per definire i loro distretti urbani: a differenza che altrove, infatti, nel meridione era più facile che gli ebrei vivessero a stretto contatto con gli abitanti di città e villaggi. Senza fare eccezione, a Catania, la comunità non viveva isolata sviluppando, invece, due aree abitative: i) in prossimità delle mura (Judecca Soprana); ii) a ovest e a sud della città (Judecca Sottana). Si può parlare di presenza ebraica a Catania già tra il Iii e il Iv secolo. C’è un vuoto delle fonti che va da quel periodo al Medioevo: li ritroviamo nel 1235, stanziati già presso l’area detta «della Cipriana»; successivamente, si creerà l’insediamento a sud, oggi corrispondente alla zona del Duomo. Le due giudecche comprendevano al loro interno un ospedale e un macello; per il culto, invece, due sinagoghe e un cimitero fuori le mura. Il fiume Amenano era importantissimo, per la comunità, per ragioni di culto (ad esempio, per i bagni rituali delle donne). Non a caso, la comunità era dislocata proprio lungo il corso dell’Amenano, che prese a chiamarsi Judicello. La Giudecca Soprana è l’area del primo insediamento ebraico. Grossomodo, oggi coincide con la zona circoscritta da via Maura, piazza Dante e via della Cipriana. La sinagoga di questo abitato, invece, sorgeva in via Sant’Anna. Via Santa Maria della Catena è un’ulteriore testimonianza della presenza della Giudecca: in Sicilia tutti i toponimi con la parola «catena» indicano una precedente presenza ebraica; altrettanto, le chiese chiamate Santa Maria della Catena sono luoghi di antiche sinagoghe. I medici ebraici catanesi erano al tempo molto conosciuti e apprezzati e la scuola medica ebraica dette il suo contributo, nella creazione dell’Università di Catania, fondata nel 1434. È anche grazie ai loro saperi, se fino al Novecento la medicina locale era una delle più aggiornate a livello internazionale. Tra il Xvi e il Xvii secolo, nella cartografia siciliana sparisce l’Amenano: è ricordato solo lo Judicello. Intorno al prezioso fiume, si sviluppa il secondo abitato ebraico e con esso tutta una serie di attività che hanno segnato il territorio sino ad oggi. La Judeca di Jusu si estende quindi dalla zona del Duomo al Pozzo di Gammazita, tra via Marano e Sant’Agata alle Sciare. L’attuale pescheria nasce proprio dall’antico mercato del pesce ebraico. Gli operai e i commercianti, invece, presero posto nei dintorni di piazza Federico Ii di Svevia. Ancora vicino all’acqua – e precisamente, presso il pozzo di Gammazita – trovava posto la conceria.
DI LORENZO/BLOG
02 July 2025
29 June 2025
Due popoli, due Stati: per almeno sei volte, Israele ha accettato formalmente questa soluzione – nel 1937, nel 1938, nel 1948, nel 1993, nel 2000, nel 2010 – ma chi l’ha continuamente rifiutata è sempre stata la comunità araba presieduta prima da Arafat, poi dall’Olp, poi dall’Anp, poi da Hamas. È semplicemente demenziale, che i governanti europei ancora prospettino quest’ipotesi, continuamente negata dagli stessi arabi. Coloro i quali la presentano come una soluzione ignorano che negli statuti istitutivi di queste organizzazioni islamiste, in ciò che è insegnato nei libri di scuola arabi, c’è un proposito ben diverso: Dal Giordano al Mar Mediterraneo dovrà essere un unico Stato arabo, dopo che Israele sarà distrutto e la sua popolazione sterminata. Questo è l’obiettivo degli arabi, scritto, gridato, documentato. Dal 1948, Israele è sotto attacco da parte di chi vuole raderlo al suolo. Non capirlo è una cosa cieca, folle, ottusa: è da codardi utili-idioti della causa islamista, che piangeranno amaramente il proprio errore. Dopo il 7 ottobre 2023, l’ultima possibilità – per gli arabi – di creare uno Stato «palestinese» è tramontata definitivamente. Neonati bruciati vivi nei forni delle case davanti ai genitori, donne incinte sventrate, con i feti lasciati a morire davanti a loro, bambini violentati e strozzati a mani nude, 1.200 civili israeliani massacrati e centinaia di rapiti (e ammazzati in seguito), compresi i neonati. Esistono in rete ampi documenti di foto e filmati del massacro. Da questo momento in poi, la nascita di uno Stato «palestinese» è impossibile. Sei milioni di ebrei trucidati hanno dato mandato a Israele di non farsi mai più uccidere: Israele combatterà sempre, rispondendo ferocemente a ogni attacco, colpendo ogni suo assalitore. La «Palestina» moderna è un’invenzione di Arafat (anni sessanta del Xx secolo) e non ha nulla a che fare con la Palestina storica, la Pelesheth, Terra dei Filistei, nella regione di Canaan, che il Regno Israelitico concesse a 25.000 individui di razza indoeuropea lì stanziatisi e in seguito assimilatisi agli israeliti. Ciò avveniva nel 1200 a.C., migliaia di anni prima che nascesse Maometto e che i beduini apparissero in Medio Oriente. Israele non si è mai opposta all’invenzione della «Palestina» moderna. Sono stati gli arabi di Arafat, dell’Olp, dell’Anp, di Fatah, di Hamas a opporsi all’esistenza di Israele. 1. Non esiste e non è mai esistita nessuna «Palestina araba», bensì solo ebraica. 2. Non esiste nessun «popolo palestinese» ma solo un insieme di genti egiziane, giordane, siriane, libanesi, messe insieme arbitrariamente da Arafat, per una sua precisa sete di potere. 3. La «Palestina» di cui si parla oggi è un’invenzione di Arafat e non esiste: né storicamente né etnicamente né nazionalmente. «Palestina libera», strillano… ignorando che la cosiddetta Palestina fosse già libera: la cosiddetta «Palestina» moderna era già libera e non aveva bisogno di essere liberata da nessuno, dato che nessuno occupava i suoi territori, i quali erano governati in piena indipendenza dall’Anp e da Hamas. Israele non occupava nessun territorio «palestinese». Situazione logicamente cambiata, dopo il massacro di migliaia di israeliani innocenti perpetrato dalle milizie «palestinesi» di Gaza e della Cisgiordania. La stupidità di chi continua a insistere con la leggenda metropolitana di una «Palestina occupata da Israele» è una vergogna, per l’umanità. Senza considerare il fatto che i vari pro-Pal – da Greta alla Boldrini, da Fratoianni a Conte eccetera – se vivessero in un territorio islamista come quello governato da Hamas, sarebbero perseguitati, imprigionati e probabilmente giustiziati. Invece di difendere l’unica vera democrazia del Medio Oriente, questi incoscienti difendono i criminali islamisti. A fronte di tutto ciò, a questo punto è sacrosanto, l’obiettivo di Netanyahu di schiacciare la testa del serpente iraniano che da sempre vuole distruggere Israele e altrettanto sacrosanto, l’obiettivo di riprendere il totale controllo delle storiche regioni israelitiche di Samaria, Giudea e Gaza, da dove per 70 anni sono partiti attacchi continui contro lo Stato di Israele. Occorre cancellare il concetto stesso di «Palestina», uno dei peggiori falsi storici mai inventati. E a uccidere la cosiddetta «Palestina» sono stati proprio gli arabi: dopo il 2023, non avranno mai più la possibilità di creare dal nulla un loro nuovo Stato arabo, ai confini di Israele.
26 June 2025
Islam: The Untold Story è un documentario scritto e diretto da Kevin Sim e presentato dal romanziere e storico inglese Tom Holland. Il documentario esplora le origini dell’islam, una religione abramitica sviluppatasi in Arabia nel Vii secolo e critica la versione islamica ortodossa di questa storia, sostenendo che la storia tradizionale non sia supportata da prove sufficienti. Commissionato dalla televisione britannica Channel 4, è stato trasmesso per la prima volta nell’agosto del 2012. La sua uscita ha seguito la pubblicazione di In the Shadow of the Sword: The Battle for Global Empire and the End of the Ancient World (2012), di Holland, che trattava anche dell’ascesa dell’Impero arabo e delle origini dell’islam.
Adottando come base le teorie della storica accademica Patricia Crone, Holland ha affermato che esistevano poche prove concrete sulle origini dell’islam e si è chiesto perché ci siano voluti diversi decenni dopo la morte di Maometto, perché il suo nome apparisse su documenti o manufatti sopravvissuti. Sostenendo che ci fossero poche prove sulle origini della fede, suggerì che la città della Mecca potesse non essere stata il vero luogo di nascita di Maometto e dell’islam. Pur non contestando l’esistenza di Maometto come figura storica reale, ipotizzò che gran parte del mito delle origini islamiche si fosse sviluppato in seguito, nei primi anni dell’Impero arabo.
Il documentario si rivelò controverso. L’accoglienza dei media mainstream fu contrastante ma suscitò critiche da parte di esponenti della comunità islamica del Regno Unito, i quali sostenevano che Holland ignorasse le prove a sostegno della versione ortodossa della storia islamica primitiva. L’autorità di regolamentazione approvata dal governo Ofcom e l’emittente televisiva Channel 4 ricevettero circa 1.200 reclami riguardanti il programma. Temendo violente ritorsioni da parte di musulmani militanti, Channel 4 annullò una proiezione pubblica del documentario presso la sua sede londinese.
24 June 2025
Tomás Luis de Victoria (1548-1611) è stato un presbitero, compositore e organista spagnolo del tardo Rinascimento (Xvi secolo). Attivo principalmente in Italia, fu il più famoso musicista spagnolo dell’epoca e tra i più importanti compositori di musica sacra in Europa. Victoria ebbe in Spagna una funzione simile a quella di Giovanni Pierluigi da Palestrina in Italia e a Orlando di Lasso in Germania; tuttavia, diversamente da questi, che composero sia musica sacra sia musica profana, Victoria si dedicò esclusivamente alla musica sacra. L’influenza di Victoria sulla cultura musicale spagnola fu notevole e persistente. Molti compositori contemporanei e posteriori, anche fuori dell’area iberica, furono suoi sinceri ed entusiasti estimatori, come Vincent d’Indy, Manuel de Falla e Igor Stravinskij.
21 June 2025
Stéphane Mallarmé fu autore di un corpus alquanto ristretto di opere in versi e in prosa, attraverso le quali ha nondimeno rivoluzionato il linguaggio poetico moderno. Ciò grazie a uno stile innovativo, denso ed ermetico, in cui la parola poetica si carica di forti istanze evocative e conoscitive. Lavorò come insegnante di inglese e trascorse buona parte della vita in modeste condizioni economiche, pur essendo riconosciuto col tempo come il Maestro del Simbolismo francese, al punto che vari scrittori quali Huysmans, Villiers, Laforgue, Valéry o il giovane Gide gli tributarono un’ammirazione che spesso sfociò nell’omaggio o nel plagio.
Si ricorda in proposito il suo piccolo salotto della rue de Rome, dove si svolgevano, il martedì, regolari incontri con amici poeti e artisti per discutere di poesia, pittura, musica e filosofia.
Le sue prime poesie (1862-65) risentono del modello rappresentato dall’opera di Charles Baudelaire: si trova infatti in esse il tema dell’opposizione tra la contingenza, ovvero la vita materiale (quel disgusto del quotidiano che Baudelaire chiamava spleen) e l’«ideale», rappresentato dalla Bellezza e in particolare dall’Opera d’arte.
Il suo stile fine secolo, d’altro canto, anticipava molte delle fusioni tra poesia e altre arti che stavano per sbocciare nelle scuole dadaiste, surrealiste e futuriste, dove si esploravano le tensioni tra le parole stesse e il modo in cui esse erano esposte sulla pagina.
Ma, mentre molti di questi lavori, a lui posteriori, riguardavano principalmente la forma, le opere di Mallarmé erano più generalmente interessate all’interazione tra stile e contenuto. Questo è particolarmente evidente nel suo altamente innovativo poema Un coup de dés jamais n’abolira le hasard (1897), il suo ultimo lavoro importante.
Si ricorda in proposito il suo piccolo salotto della rue de Rome, dove si svolgevano, il martedì, regolari incontri con amici poeti e artisti per discutere di poesia, pittura, musica e filosofia.
Le sue prime poesie (1862-65) risentono del modello rappresentato dall’opera di Charles Baudelaire: si trova infatti in esse il tema dell’opposizione tra la contingenza, ovvero la vita materiale (quel disgusto del quotidiano che Baudelaire chiamava spleen) e l’«ideale», rappresentato dalla Bellezza e in particolare dall’Opera d’arte.
Il suo stile fine secolo, d’altro canto, anticipava molte delle fusioni tra poesia e altre arti che stavano per sbocciare nelle scuole dadaiste, surrealiste e futuriste, dove si esploravano le tensioni tra le parole stesse e il modo in cui esse erano esposte sulla pagina.
Ma, mentre molti di questi lavori, a lui posteriori, riguardavano principalmente la forma, le opere di Mallarmé erano più generalmente interessate all’interazione tra stile e contenuto. Questo è particolarmente evidente nel suo altamente innovativo poema Un coup de dés jamais n’abolira le hasard (1897), il suo ultimo lavoro importante.
19 June 2025
Il concetto di insieme è alla base dell’analisi musicale insiemistica, principalmente sviluppata a metà dagli anni settanta del secolo scorso dal musicologo statunitense Allen Forte, con lo scopo di analizzare la musica post-seriale. Come avviene in matematica, un insieme è definito come una collezione di oggetti, che in ambito musicale possono essere altezze (o più generalmente, classi di altezze) o anche durate o timbri. Un insieme non è necessariamente dotato di strutture addizionali: ad esempio, può non essere ordinato, nel senso che si considerano equivalenti insiemi che includono gli stessi oggetti, indipendentemente dall’ordine. Quando si considerano insiemi ordinati, si parla piuttosto di segmenti. Altri autori (particolarmente Milton Babbitt) usano invece il termine insieme come sinonimo di serie, ossia di insieme ordinato. Per classificare gli insiemi ai fini dell’analisi musicale, ci si riferisce usualmente alla loro forma primaria: nella teoria seriale, questa coincide con l’ordine della serie originale (cioè quello della sua prima esposizione nel brano musicale). Nell’analisi insiemistica, invece, la forma primaria di un insieme di classi di altezze (cioè note definite a meno dell’ottava di appartenenza) consiste nella scelta di un rappresentante per ciascuna classe di altezze e di un ordinamento dell’insieme, tali da produrre la sequenza più compatta possibile, ossia quella in cui «l’intervallo più ampio fra ciascuna coppia di altezze consecutive sia compreso fra la prima e l’ultima altezza della successione.» Nell’analisi di una composizione, si studiano le trasformazioni a cui è sottoposta la forma primaria di un insieme.
17 June 2025
Georges Braque (1882-1963) è stato un pittore e scultore francese, che assieme a Pablo Picasso è stato l’iniziatore del cubismo. Il cubismo analitico nasce tra il 1909 e il 1910, grazie a Picasso e Braque. Questa prima fase del cubismo è caratterizzata dalla scomposizione delle forme sul piano pittorico e dal rifiuto di usare la tradizionale rappresentazione prospettica. Essi però si rendono conto che, spezzando troppo la superficie pittorica, i suoi singoli frammenti non sono più ricomponibili virtualmente e l’opera si avvicina sempre più ai caratteri dell’astrattismo; infatti, i cubisti non vogliono perdere la riconoscibilità dell’oggetto. Queste idee le porteranno nel cubismo sintetico, evoluzione di quello analitico, a partire dal 1912, fino al 1914, quando Braque sarà richiamato al fronte.
Con la collaborazione di Juan Gris, elaborano una serie di tecniche per uscire da questo paradosso in cui sono incappati, portando alle estreme conseguenze la loro tecnica di rappresentazione del reale. Introducono nel quadro frammenti di realtà, di oggetti reali combinati alle parti dipinte (tecnica del collage), utilizzano mascherine con numeri o lettere (tecnica mista, tipo stencil); inseriscono trompe l’œil e riproducono l’effetto delle venature del legno con la tecnica del pettine passato sul colore fresco.
Inoltre, si assiste al ritorno del colore e soprattutto, il processo dell’opera non ha inizio attraverso l’osservazione del reale ma si creano sulla tela forme geometriche semplici, variamente composte, in intersezione, orientate in vario modo e solo in un secondo momento, queste suggeriscono oggetti reali. La realtà è dunque sintetizzata, creata nell’immagine. Gli oggetti sulla tela non sono più copia del reale, esistono nel momento in cui sono concretizzati nell’immagine pittorica, di essi c’è solo il concetto formale.
Via Marano deriva direttamente da marrano, il modo in cui erano chiamati gli ebrei convertitisi al cristianesimo; via Gisira, invece, prende...
-
Ho scoperto che l’aborto umano (*1994) scrive in giro che tu «scrivi a zig zag come gli psicopatici»! La cosa non mi meraviglia. In che sens...
-
Nell’uso comune, « caos» significa « stato di disordine» . Tuttavia, nella teoria del caos, il termine è definito con maggiore precisione. ...
-
1. Masse dal volume diverso, in equilibrio tra di esse. 2. Una massa è il tema, mentre un’altra massa sono i suoi derivati – che a loro volt...