Il cosiddetto «lodo Moro» fu un patto segreto di non belligeranza tra lo Stato italiano e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Fplp), movimento a sua volta membro dell’Olp; escludeva invece quello di Abu Nidal, acerrimo nemico di Arafat.
Tale accordo, che era solo verbale, deve il suo nome ad Aldo Moro, ministro degli affari esteri nel governo Rumor Iv. La sua esistenza affiorò «pubblicamente per la prima volta in prossimità della caduta del Muro, a partire da un’inchiesta del giudice Mastelloni su traffici d’armi tra Olp e Br» e, successivamente, su di esso focalizzò i suoi lavori la Commissione parlamentare d’inchiesta sul fascicolo Mitrochin.
Con tale accordo, cercato dopo la strage di Fiumicino del 17 dicembre 1973 dal ministro degli esteri Aldo Moro, l’Italia garantiva ai palestinesi – aiutati da gruppi eversivi italiani – libertà di passaggio di armi ed esplosivi sul proprio territorio nazionale; in cambio, i palestinesi garantivano di non colpirla con attentati.
A intavolare e guidare le trattative furono il gen. Vito Miceli (capo del Sid), l’amm. Mario Casardi (successore del precedente) e, «sul campo», il colonnello dei carabinieri Stefano Giovannone (capocentro del Sid e poi del Sismi a Beirut), George Habbash (capo del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina), Bassam Abu Sharif (allora portavoce del Fplp e consigliere speciale di Yasser Arafat, guida storica dell’Olp) e Abu Anzeh Saleh (rappresentante in Italia – con residenza a Bologna – del Fplp).
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