La locuzione café racer nacque nel Regno Unito, durante la prima metà degli anni sessanta, per indicare in modo dispregiativo i motoveicoli che i giovani del movimento rocker ostentavano, parcheggiandoli davanti ai locali pubblici da loro frequentati e caratterizzati dalla presenza esterna delle loro motociclette. Il primo di questi locali fu il 59 Club, mentre il più celebre è l’Ace Cafe.
Questi motoveicoli erano motociclette stradali spogliate di tutto quanto legato al turismo e dotate di accessori specialistici e sovrastrutture modificate, in maniera tale da sembrare moto da competizione ma in realtà utilizzate esclusivamente per fare bella mostra.
Raramente i proprietari si impegnavano in competizioni ufficiali, spesso questi si sfidavano in gare clandestine più o meno organizzate per poi concludere di fronte al bar dove condividere e talvolta esagerare le proprie imprese.
Negli anni settanta tale locuzione fu ripresa in Francia, con il significato di «pilota da bar», per indicare in tono ironico questa categoria di motociclisti.
Nel moderno uso lessicale, per café racer si intende una motocicletta dall’aspetto sportivo, spesso in stile rétro, strutturalmente e meccanicamente comparabile a una motocicletta di serie.
Con la diversificazione del mercato della motocicletta il principio stesso delle cafè racer è venuto meno, in quanto ormai disponibili vere e proprie race-replica. Questo tipo di motocicletta è rimasto come filosofia e stilemi costruttivi nel mondo del custom – dove ciclicamente riacquista popolarità.
I rocker erano soliti possedere una motocicletta che essi stessi provvedevano a modificare dopo l’acquisto, in modo da renderle adatte alla corsa (i modelli preferiti erano Triumph, Bsa, Norton, Vincent, Royal Enfield). Si lanciavano poi in corse da un capo all’altro della città, percorrendo le grandi arterie stradali di recente costruzione che lambivano le periferie: generalmente una corsa cominciava ad un bar e finiva in un altro bar. I bar, infatti, erano i luoghi dove le varie bande di rocker erano solite riunirsi.
Per questo loro «sport», i rocker non erano ben visti dalla società, che li riteneva pericolosi: d’altro canto, a differenza di molte altre sottoculture contemporanee, essi disprezzavano l’uso di droghe.
A partire dagli anni cinquanta, oltre al possesso di una motocicletta, i rocker cominciarono ad adottare uno stile proprio anche nel vestire: il loro guardaroba comprendeva indumenti mutuati dai re del rock and roll statunitense, come Gene Vincent, Eddie Cochran, Chuck Berry, Bo Diddley e ovviamente Elvis Presley.
Lo stile dei rocker nel vestire trascendeva completamente dalla praticità e dal collegamento con l’attività del proprietario, al contrario di quello dei mod. I rocker erano soliti vestire nel seguente modo:
i) berretto in cuoio (detto kagney);
ii) giubbino in pelle, spesso decorato con strass, toppe e spille, in particolare quelle che ricordavano l’appartenenza al 59 Club oppure all’Ace Cafe;
iii) jeans Levi’s o pantaloni in cuoio;
iv) stivali da motociclista o scarpe antinfortunistiche, in alternativa scarpe di pelle appuntite.
A questi, durante la guida in moto, si aggiungevano un casco aperto sul davanti, occhiali da aviatore e una sciarpa, solitamente di colore bianco.
I capelli erano portati in stile Pompadour e tenuti alti con la brillantina.
Il barone Manfred von Richthofen (1892-1918) è stato un aviatore e ufficiale tedesco. È ricordato come un asso dell’aviazione: più precisamente come l’asso degli assi, essendogli ufficialmente accreditate ottanta vittorie aeree durante la prima guerra mondiale, prima di essere abbattuto il 21 aprile 1918. Eroe dei tedeschi e rispettato dai suoi nemici, fu una delle principali figure della guerra, ricordato con l’appellativo der Rote Baron.
01 August 2023
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