16 March 2023

Il Finale dell’op. 130 è l’ultimo pezzo completo scritto da Beethoven. Il suo stato d’animo felice non tradisce i problemi di salute e lo stato emotivo del compositore. Nonostante fosse appena guarito da una grave malattia, egli non stava ancora bene e avrebbe vissuto ancora solo qualche mese. Inoltre, Beethoven scrisse questo pezzo durante un soggiorno riluttante nella residenza di suo fratello Johann a Gneixendorff (nella valle del Danubio), dove aveva viaggiato con il suo tormentato nipote Karl. Il compositore non andava d’accordo con sua cognata e si può solo immaginare che le circostanze scomode in cui scrisse questa musica difficilmente favorissero la composizione. Il contributo di Beethoven sulla strada verso l’atonalità sarebbe stato, probabilmente, ancora più decisivo, se egli avesse composto la musica per l’opera Bacchus. Grande opera lirica in tre atti, di Rudolph vom Berge. Riguardo a questo progetto, Beethoven prese delle annotazioni, riportate da Paul Bekker nel suo Beethoven; in questi appunti, emerge chiaramente l’ipotesi di utilizzare, in tutta l’opera, dissonanze senza risoluzione. Forse, la realizzazione di questo progetto avrebbe cambiato il corso della storia della musica o forse (più probabilmente), non sarebbe stato capito per niente, certo è che l’intuizione avuta da Beethoven è senz’altro straordinaria. Di là del Bacchus, quel che resta è il decisivo passo in avanti che Beethoven compie con le sue ultime opere; si tratta di una direzione nuova che, nel caso delle ultime sonate per pianoforte, avrà il suo esito naturale nel Romanticismo, nonostante alcune realizzazioni armoniche, alcuni casi di bitonalità, guardino decisamente oltre il Romanticismo, oltre Wagner, fino al nostro secolo. Soltanto un perfetto idiota potrebbe giudicare negativamente il valore di un compositore utilizzando come «argomento» il fatto che codesto compositore abbia scelto (magari provvisoriamente) di avvalersi della tecnica della programmazione musicale per le sue produzioni musicali. Sarebbe comunque un’idiozia criticare l’utilizzo della programmazione in sé, poiché essa esiste e ha una sua dignità e talvolta è semplicemente indispensabile (basti pensare al caso della musica orchestrale, impossibile da prodursi senza avere un teatro, un’orchestra, un direttore d’orchestra e diversi tecnici del suono a disposizione!) ma diventa un’idiozia gigantesca criticare il compositore, la cui unica responsabilità consiste nello scrivere uno spartito o una partitura. La stupidità regna sovrana ed è più diffusa dell’idrogeno (parafrasando Zappa)! Basti pensare che esistono davvero esseri capaci di affermare che «Beethoven era venduto a Lucifero»! Il famoso figlio di Johann van Beethoven – Ludwig – non si sposò mai e molto probabilmente non ebbe mai figli. Il secondo figlio di Johann van Beethoven – Kaspar Karl – ebbe una prole, tuttavia nessuno dei suoi discendenti viventi porta ancora il nome Beethoven. L’ultimo a portare questo nome (Karl Julius Maria) morì nel 1917. L’influenza di Goethe fu capitale, perché egli capì la transizione e il mutamento della sensibilità europea, un aumentato interesse nella sensualità, nell’indescrivibile e nell’emozionale. Ciò non a dire che fosse iperemotivo o sensazionalista, al contrario: predicava la moderazione e percepiva l’eccesso come una malattia. «Non vi è nulla di peggiore dell’immaginazione senza gusto». Argomentò che la legge scaturisce dalle profondità della cultura di un popolo e dalla terra in cui vive e che quindi, leggi razionali non possono sempre essere imposte dall’alto: una tesi che lo pose in opposizione diretta con coloro che cercavano di costruire monarchie «illuminate» basate su leggi «razionali», per esempio Giuseppe Ii d’Austria o, più tardi, Napoleone imperatore dei francesi. Questo cambiamento sarebbe col tempo divenuto la base per il Xix secolo. Ciò lo rende – insieme a Adam Smith, Thomas Jefferson, Ralph Waldo Emerson e Ludwig van Beethoven – una figura fondamentale in entrambi i mondi. Da un lato seguace del gusto, dell’ordine e del dettaglio cesellato che è il marchio di fabbrica dell’Età della Ragione e del periodo neoclassico in architettura, dall’altro alla ricerca di una personale e intuitiva forma di espressione. Tra i grandi eredi della scrittura e del pensiero goethiano nella letteratura tedesca dell’Ottocento, dev’essere citato senz’altro Friedrich Nietzsche e per il Novecento, il romanziere Thomas Mann e il poligrafo Ernst Jünger. 1. Le strutture formali in Beethoven non sono né schematiche né aperte, bensì problematiche: quelle strutture rappresentano soluzioni a problemi sempre nuovi inerenti alla forma, che è la vera sede in cui si manifesta il poetico individuale. 2. Se il poetico sta nella forma, un po’ meno starà nella tematica. 3. Non è la sostanza tematica a essere determinante, bensì il processo tematico che essa mette in moto. Si vocifera che il tuo brano Logo (2022) sarebbe rubato! I soliti pettegolezzi anonimi. Non è rubato? Certo che no! Al limite potremmo dire che ho rubato una piccola manciata di note (non so nemmeno chi sia l’Autore) e che le ho utilizzate come materiale grezzo per costruire il mio brano. Ho notato che, ti limiti a riportare quella manciata di note in diverse tonalità. Vero ma la scelta di quali note riportare e in quali tonalità e perché in quelle tonalità e come mai proprio al pianoforte eccetera rappresenta quella che si chiama composizione, ovviamente.  Un concetto elementare, direi. Concordo ma non per chi soffre simultaneamente di autismo, di fanatismo religioso e di analfabetismo funzionale – per di più con l’aggravante di un orecchio musicale scarsissimo e incolto, tanto da sentire «melodie identiche» laddove ci sono melodie molto diverse (giusto per fare un esempio). Bisogna comprendere i drammi altrui. Sì. Che cosa ne pensi dell’idea secondo cui tutta la potenza dei forti, la sapienza dei saggi e le opere compiute da ogni uomo «sarebbero nulle e non avrebbero valore in confronto a ‹Dio›»? È inevitabile che persone prive di potenza, sapienza e creatività cerchino di sminuire gli uomini che invece ne sono pieni, tirando in ballo la puerile idea secondo cui, «tanto siamo tutti delle nullità al cospetto di ‹Dio›». Un modo come un altro per distogliere l’attenzione dalla propria nullità e tentare di screditare gli uomini che invece sono pieni di tutto. Che cosa ne pensi dell’idea secondo cui, «nessuno ci darà la salvezza se non Cristo»? Tragicomicità allo stato puro. Gesù era un idiota e non esiste alcun «Dio». La natura è più che sufficiente e non c’è alcun bisogno di essere «salvati». Che cosa ne pensi dell’idea secondo cui, se contassimo sulle nostre forze, saremmo perduti? Ancora tragicomicità a profusione. È necessario un livello non indifferente di demenza, per concepire puttanate come questa. In sintesi: difetti spacciati per pregi e viceversa. Il vero uomo forte/capace è visto come «perduto» e il povero ritardato che si affida alle boiate della Chiesa è considerato «salvato». Roba da cottolengo. Chi sono i deboli, gli arresi e gli eterni sconfitti? Quelli che hanno un bisogno disperato di credere in ciò che non esiste. Hai paura dell’eternità? Come potrei avere paura di una parola che non corrisponde a nulla di reale? Ti accontenti di una vita «limitata e destinata a finire»? Non c’è nulla di limitato nel fatto che la vita finisca! Tutte le vite finiscono. La differenza sta nel modo in cui le vite sono state vissute e nelle opere che si è stati capaci di creare. Forse, non hai la forza di «far parte dell’immenso, dell’eterno, della grandezza»? Al contrario: non ho la debolezza di indulgere in concetti tragicomici e irreali quali «l’immenso e l’eterno e la grandezza» ma al contempo ho la forza di creare musica che abbia un certo potere e sento la pienezza della vita in ogni respiro, pur sapendo che prima o poi morirò. Trovi che ci sia del nichilismo, nell’idea che il bene e il male non esistano? No, trovo che ci sia della stupidità nell’idea che il bene e il male esistano! Il massimo del nichilismo lo raggiungono i sedicenti cristiani, con la loro ostilità verso tutto ciò che è reale e con la loro proiezione verso il nulla che loro chiamano «eternità». Che cosa ne pensi dell’idea di dover rendere conto delle tue azioni «a qualcuno, senza alcuno scampo»? Ah! ah! ah! - ah! ah! ah! - ah! ah! ah! Le bestie si lasciano andare agli istinti e non governano il loro corpo. Le bestie sono estremamente sagge e molto più in armonia con la natura di quanto lo siamo noi uomini. Inoltre, il loro corpo funziona benissimo, basta osservare un gatto, per capire quanto gli animali siano superiori a noi uomini. Siamo uomini creati dal cosiddetto Dio? No, siamo uomini partoriti dalle nostre madri. Che cos’è la «vera gloria nello spirito»? Una fiaba per il bestiame. Esiste qualcosa di eterno e di reale valore? Sì: le opere dei veri artisti, cioè le opere degli spiriti liberi. Mi faresti un esempio di spirito libero? Certo: Friedrich Nietzsche. Chi sono i «figli del mondo»? Tutti, nessuno escluso. Soprattutto, quelli che si vantano di non esserlo, grazie al loro immaginario rapporto con l’immaginario «Dio»: costoro sono particolarmente legati al mondo ma non avendo la forza sufficiente per affrontarlo, si rifugiano nella pietosa illusione di «Dio» e della «casa del Signore» eccetera. Chi sono i lontani da «Dio»? Tutti, poiché non esiste alcun dio. Che cosa ne pensi dell’idea secondo cui «Dio stesso ha inculcato nella loro mente l’idea che tutto ciò non esista, con una potenza d’inganno»? I personaggi immaginari non possono né inculcare idee né ingannare nessuno. Idee simili denotano uno stato avanzato di follia e una forte predisposizione alla pratica di coltivare allucinazioni. Qual è la differenza tra il bene e il male? Nessuna: codesta divisione rappresenta un’idea ridicola e arbitraria. La realtà comincia quando ti poni al di là di questa illusoria dicotomia. Che cosa ne pensi di chi afferma con orgoglio che egli amerà e seguirà soltanto «il Padre», sacrificando tutto il resto? Non invidio chi abbia raggiunto livelli così estremi di follia, decadenza e nichilismo. In sostanza, chi afferma questo ha detto di no a tutto ciò che è reale e ha detto di sì alla sua personale allucinazione, cioè al nulla.
Secondo te, è meglio vivere per «racchiudere tutta la tua esistenza in un diamante fatto attimo» oppure vivere godendoti i piaceri derivati dagli istinti?
Non capisco la domanda! Innanzitutto, l’attività chiamata «racchiudere tutta la propria esistenza in un diamante fatto attimo» è un’attività che non esiste. Inoltre, non vedo per quale motivo una simile attività immaginaria dovrebbe essere inconciliabile con la seconda opzione (quella, cioè, di godersi i piaceri). Quindi, la tua risposta è che vanno bene entrambe le cose? Certo! È possibile fantasticare su attività che non esistono e al contempo godersi i piaceri!
Qual è la cosa più sicura e ferma di cui si possa fare esperienza? L’errore. Che cosa ne pensi dell’espressione «sottomettersi al mondo»? Priva di senso, tranne per chi odia il mondo, la realtà, sé stesso, tutto… Che cosa ne pensi dell’idea di «rinunciare alla vana materialità e abbracciare l’eterna spiritualità»? Ancora più insensata: non c’è nulla di vano nella materia, poiché tutto è materia e l’eterna spiritualità è un ossimoro, poiché la spiritualità non è eterna ed è solo una parte del corpo umano (a sua volta materiale e destinato a morire). Che tipo di individuo può tirare fuori concetti così privi di senso? Un soggetto profondamente stupido e ignorante ma anche pieno di odio e di risentimento verso la vita e verso sé stesso, tanto da puntare esclusivamente su ciò che non esiste (l’«eternità», la «casa del Signore», la «fine dei tempi» e altre volgari sciocchezze). Che cosa provi di fronte a simili discorsi? Pietà. Secondo te, qual è la differenza tra mondo apparente e mondo reale? Questa è una falsa domanda, poiché esiste un solo mondo: quello che hai definito «apparente». Hai qualche nemico? No. C’è qualcuno per cui provi odio? No. Che cos’è il bene? Una parola senza senso. Che cos’è l’altruismo? Una conseguenza della mancanza di amore per sé stessi. Che cosa significa, cercare qualcosa che non risiede nel mondo? Cercare qualcosa che non c’è. Che cosa significa, dimostrare qualcosa a «Dio»? Nulla: non esiste alcun dio, quindi tutto si riduce al dimostrare qualcosa a sé stessi ed eventualmente anche agli altri. Che cosa significa, combattere per la verità? Nessuno sa che cosa sia la verità, quindi è un’illusione. Provi odio per Gesù? Certo che no! Perché dovrei odiare un povero diavolo che non ho nemmeno conosciuto e che ha vissuto duemila anni fa e che è pure stato ammazzato come un cane? Provi odio per il popolo di Cristo? Non esiste alcun «popolo di Cristo», al limite posso provare pietà per persone così messe male da considerarsi parte di un popolo che in realtà non esiste. Che cosa ne pensi della frase, «Soltanto la vera gloria nello spirito è eterna e di reale valore»? Ridicola, perché: i) lo spirito è soltanto una parte del corpo; ii) non esiste nulla di eterno; iii) l’unico valore sta nelle opere fatte dall’uomo (ad esempio le opere d’arte). Che cosa ne pensi di chi distingue tra «figli del mondo» e «vicini a ‹Dio›»? Si tratta di persone che soffrono di allucinazioni, poiché siamo tutti figli del mondo, senza eccezione e il cosiddetto Dio è solo un’invenzione particolarmente volgare. Chi sarebbero, gli ominicchi di sciasciana memoria? Sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. Grazie. Di nulla.
Nel tono generale, il Quintetto (1903-04) è ancora pesantemente indebitato coi modelli convenzionali; lo Scherzo, sensazionale e vigoroso, è quasi un puro Brahms, mentre il trattamento armonico dell’Adagio è molto straussiano. Un’influenza più fruttuosa è quella di Liszt, che sembra aver ispirato la tecnica ciclica della trasformazione tematica per mezzo della quale, Bartók conferisce unità ai quattro movimenti del suo Quintetto. La Sicilia oggi paga un prezzo altissimo alla slealtà dello Stato italiano e lo mantiene, come attestato tra l’altro dalla Corte dei Conti. E non viceversa, come è fatto credere agli italiani.
La tematica si trova immessa in un processo di evoluzione continua quale presentimento di una tematica futura o conseguenza di una precedente. Essa consiste esclusivamente di trasformazioni di cui è una funzione, una variabile dipendente dalla forma in divenire, non un’entità sostanziale. Derivazioni, più che enunciazioni.
Inizi tematici e al tempo stesso provvisori. Gli fecero ascoltare Shine On You Crazy Diamond sperando nella sua collaborazione e invece il genio si rifiutò. La trovava superata e poco interessante: «È un po’ vecchiotta», disse. Senza convenevoli, se ne andò. Era il 5 giugno 1975.
Uno degli aspetti più esilaranti di certi disastrosi esperimenti genetici che inquinano la Terra è il seguente: essi ridono laddove non c’è nulla di cui ridere e non ridono laddove c’è da morire dal ridere.
Ad esempio, puoi vederli ridere di fronte a locuzioni neutre e descrittive come «compositore siciliano» (riferita a un siciliano che scrive musica) o «registrato a» (riferita al luogo in cui è stato registrato un brano musicale) e persino di fronte al nome del modello di un famoso elaboratore della Apple… e poi puoi vederli seri e solenni e pomposi e fieri nei confronti di tragicomici ossimori quali «il cristiano vendicatore» o «l’Achille cristiano», che farebbero ridere anche un pollo fritto. Soggetti intrinsecamente sbagliati devono necessariamente manifestarsi in modo sbagliato.
Cristianesimo e grecità si escludono a vicenda, esattamente come malattia e salute, Gesù e Achille, Chiesa e musica.
Un «cristiano vendicatore» è tanto sensato quanto un pompiere piromane o un angelo infernale o un diavolo paradisiaco o un Achille cristiano.
Si tratta di ossimori totalmente privi di senso e clamorosamente paradossali, eppure esistono – sebbene se ne stiano nascosti come scarafaggi – soggetti così incredibilmente malati da identificarsi in essi. 1. Coloro i quali, essendo totalmente incapaci di valutare i compositori, se ne escono con puttanate immonde del tipo, «Non è famoso» oppure, «Lo seguono in pochi» eccetera. Come se il valore di un compositore dipendesse dalla sua celebrità o dal numero di persone che lo seguono. 2.
Coloro la cui esistenza consiste nell’arrampicarsi sugli specchi.
3. Coloro i quali ridono laddove non c’è nulla di cui ridere (p. es. in relazione a un eccellente elaboratore della Apple) e che diventano serissimi, solenni e arrabbiati laddove qualsiasi persona normale riderebbe (p. es. in relazione a della musica ironica di ottima fattura). 4. Coloro i quali pensano in maniera antistorica, fallendo clamorosamente nel definire il concetto di «buono». 5. Coloro i quali passano con disinvoltura da, «Ancora una volta nella breccia della vita» a, «Io ci sputo, sopra alla vita e anche al mondo». 6. Coloro i quali tentano di spacciare la propria isteria per «libertà di scelta». In breve: coloro i quali sono intrinsecamente sbagliati e ben al di sotto della normalità.
Talvolta, le persone si sentono stupende e quindi definiscono stupenda la musica altrui; talvolta, le persone si sentono vomitevoli e quindi definiscono vomitevole la musica altrui. In entrambi i casi, si tratta di descrizioni della propria persona: roba totalmente estranea alla musica recensita.
La morale nasce dalla gran massa degli uomini deboli, che con i loro precetti vogliono sottomettere i pochi individui superiori, uniformando tutti a un livello mediocre.
Il rifiuto del corpo, la priorità assegnata all’anima, all’ideale, al trascendente, a ciò che sta al di là del sensibile, è un fattore che dal platonismo passa nel cristianesimo.
La mia morale è basata sulla volontà, sulla fedeltà alla terra e sul ripudio di qualunque consolazione metafisica.
La volontà di potenza è volontà di vita.
Si promuove il proprio io sempre a spese di altri.
Il modello discoidale non tiene conto del moto delle stelle, dei due poli celesti, delle stagioni, del Sole di mezzanotte antartico, dell’equatore celeste rettilineo, del percorso rettilineo del Sole sugli equinozi e di molte altre cose.
Chissà come si chiama, la malattia mentale che porta certi buffi esseri a passare costantemente da, «Sputo sulla vita» ad, «Amerò per sempre la vita»…
Nel periodo pre-morale della storia del genere umano, le azioni sono state giudicate dalle conseguenze effettive che esse producevano. Nel corso degli ultimi diecimila anni, tuttavia, è stata via via messa a punto una concezione morale sempre più raffinata, in cui le azioni sono giudicate dalle loro origini (intenzioni buone); ma la moralità delle intenzioni (che non è mai istintiva) non è altro che un pregiudizio, qualcosa di storicamente provvisorio che dev’essere oltrepassato.
Cosa ci ha costretti fino ad oggi ad assumere come «autentica» la credenza in un’antitesi essenziale tra bene/vero e male/falso?
Se tolgo all’esistenza umana tutto ciò che di apparente, superficiale e fasullo essa contiene, non rimane più nulla, alcuna cosa sopravvive. Proprio il negare l’apparenza e il voler cercare di abolirne la «realtà» implica l’abolizione dell’unico bene effettivo.
Credere che la cosiddetta «verità» valga più dell’apparenza superficiale è solo un pregiudizio.
Io sto in guardia contro chi soffre per un fantasioso «amore di verità» e non me ne faccio condizionare! Di più: evito come la peste codesti malati nell’anima e cerco invece di somigliare il più possibile agli antichi fautori del cinismo greco, quelli che hanno il coraggio di parlare male dell’umanità.
Illusioni create per gettare fumo negli occhi dei più ingenui e sprovveduti.
La natura in sé stessa è qualcosa di completamente incontrollabile e prodigo oltre misura, pertanto non può essere tiranneggiata allo stesso modo in cui gli uomini giocano a tiranneggiare sé stessi.
Pregiudizi e limitazioni, eminentemente morali ma da sempre battezzati solennemente con il nome rimbombante di «verità maiuscola».
Finzione, male e sopraffazione sono intrinseche in ogni cosa della vita.
Perché mai dovremmo preferire la «volontà di verità», piuttosto che riconoscere la falsità e l’inganno quale principale condizione dell’esistenza?
Pregiudizi morali mascherati da ricerca di verità oggettiva. Alcuni buffi esseri sono terrorizzati dall’idea di annichilirsi e quindi tentano disperatamente di convincersi che «dopo la morte torneranno nella casa del Signore». Come se non bastasse, tentano pure di convincersi che ad avere paura sarebbero quelli che invece ridono di queste sciocchezze e non hanno alcuna paura: né della morte né del nulla. In sintesi: sottigliezze, nelle antiche arti della menzogna e della codardia. Gli arresi e gli sconfitti amano pensare che non finisca tutto e così possono tirare avanti senza impazzire. I guerrieri e i vittoriosi, invece, sono totalmente immersi in questa vita e la accettano in modo totale e assoluto e non perdono nemmeno un secondo a pensare alla morte. Loro sanno che finché ci sono loro, la morte non c’è e viceversa. Nel frattempo, creano – essendo spiriti liberi, di natura totalmente opposta a quella dei sedicenti cristiani, notoriamente sterili, deboli, inetti, nichilisti, codardi.
Non sono mai esistiti artisti che non abbiano subìto le loro influenze.
Si tratta di una cosa inevitabile e anche necessaria. Solo soggetti profondamente ignoranti e infantili e senza esperienza potrebbero illudersi di essere «totalmente sganciati da chi li ha preceduti».

L’unica cosa più triste di uno schiavo è uno schiavo che si vanta di essere libero.
Il genio semplifica e sintetizza; il mediocre complica ed estende. È difficile, immaginare qualcosa di più tragicomico di un coniglio che inneggia all’audacia.
Il curioso fenomeno per cui gli incompetenti e inetti in campo musicale si lanciano nella pratica di emettere giudizi negativi sulla musica altrui (magari avendola pure elogiata in precedenza) mi affascina molto, essendo un perfetto esempio di che cosa siano la stupidità e la superficialità e l’incoerenza. Stesso discorso per l’utilizzo di illazioni (cioè giudizi arbitrari) circa le azioni altrui: illazioni il cui unico risultato è sempre quello di
fornire informazioni esatte e valide circa la condizione personale dell’autore delle stesse. Un perfetto esempio di illazione potrebbe essere il seguente: Tizio afferma (nessuno sa perché) che Caio starebbe «rosicando», quando Caio in realtà sta ridendo gioiosamente ed è l’uomo più felice della Terra. Evidentemente, Tizio rosicchia costantemente e quindi proietta su Caio (senza nemmeno conoscerlo) la propria, pietosa condizione.

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