29 March 2024

Per quanto il 1994 sia stato un anno decisamente nefasto – pubblicazione del peggior albo dei «Pink Floyd» a marzo, morte di Cobain ad aprile, morte di Cutrona a giugno, «nascita» dell’«Achille cristiano» a luglio eccetera – tuttavia è stato anche l’anno in cui la Barking Pumpkin Records ha pubblicato (il 31 ottobre) l’incredibile albo zappiano dal titolo Civilization Phaze Iii.
Ancora oggi, dopo trent’anni, quella roba sembra provenire dal futuro e se fosse stata composta oggi, la sensazione non sarebbe diversa.
Anche noi, nel nostro piccolo, abbiamo contribuito a rendere il 1994 un anno meno infelice, componendo brani pianistici come
Belzebù, Tiziana, Quarantena, Third Energy e Second Energy.
In quel periodo, eravamo – purtroppo – molto influenzati dalle
puttanate frippiane di derivazione platonica ma questo non ha molta importanza, poiché le note musicali che dovevamo scrivere, le abbiamo scritte comunque, ergo il nostro corpo (cioè, noi) ha funzionato perfettamente, nonostante le interferenze mentali. D’altra parte, si sa che la mente è solo un giocattolo nelle mani del corpo, quindi, alla fine, ha poca importanza, stabilire quale tipo di pensieri attraversassero il nostro giocattolo, in quel periodo.
Un’altra cosa tutto sommato interessante del triste 1994 è che abbiamo cominciato a lavorare come proiezionisti nei cinema, guadagnando circa un milione di lire al mese.
Una delle ragioni per cui apprezziamo l’eccellente
Redux (2023), di Waters, è che codesto albo sia uscito a suo nome, piuttosto che appropriandosi del nome che appartiene solo al grande Barrett e che ha senso soltanto nel 1965-68 e – volendo – nelle registrazioni barrettiane del 1968-70. È come se Waters avesse rimediato al grande errore compiuto ogni volta che ha utilizzato (insieme agli altri tre complici) quel nome. Certo, avrebbe dovuto pensarci prima ma meglio tardi che mai.
Waters è un compositore di canzoni ed è giusto che egli proponga codeste canzoni come meglio crede e con il suono che preferisce. Il suono «floydiano» lo lasci ai «Pink Floyd».
Obiettivamente, né Waters né tantomeno il grasso uomo d’affari specializzato nel
bending avevano il diritto di utilizzare il nome creato da Barrett (che rimarrà eternamente superiore a tutti loro) ma perlomeno, Waters ha avuto il buon gusto di tirarsi fuori da certe squallide operazioni, già nel 1985.
Il fatto che la Legge abbia stabilito che i «Pink Floyd» potevano continuare a usare quel nome è irrilevante: quel nome avrebbe dovuto essere sostituito il 6 aprile 1968, cioè quando i quattro pagliacci tradirono il loro dio, creatore di tutto e unico proprietario del nome Pink Floyd.
Una cosa è certa: il suono dei Pink Floyd è esclusivamente quello che si può ascoltare nei loro unici due albi (1967-68) e – volendo – nei due albi solisti barrettiani (Pink Floyd e Barrett sono sinonimi).
Questa è
la realtà ma si sa che ci sono persone il cui principale nemico è la realtà stessa (si pensi, ad esempio, ai sedicenti cristiani!) e che mai potrebbero riconoscere alcuna realtà, senza che la propria dimensione immaginaria
crolli miseramente.  
Ascoltino pure la noiosa musica del grassone e del viscido, se questo li fa sentire meglio. I realisti sanno bene che il nome Barrett e il nome Pink Floyd sono inscindibili, ergo: dove non c’è Barrett, non ci sono i Pink Floyd ma altro.

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