07 June 2025

Varèse è l’unico musicista per il quale l’avanguardia (quella vera) non è una pura etichetta appiccicata a chi cerca (spesso non riuscendoci) di essere diverso. Perché Varèse è veramente qualcosa di nuovo. È colui che ha traghettato il Xx secolo nella musica e la musica stessa nel futuro. Un futuro che ha reso Varèse il musicista moderno per eccellenza. Musicalmente, Arcana (1925-27) fu definito da Varèse come «il mostro di Frankenstein», in grado di rivelare il suo vero pensiero musicale. Concepito come una sorta di poema sinfonico, Arcana dispiega in diciotto minuti il suo potenziale sonoro, ribollendo di frammenti e di citazioni. La costruzione globale non concede punti di riferimento, se non per larga approssimazione, impedendo una qualsiasi approfondita analisi ancorata a parametri convenzionali. Non ci troviamo nel campo dell’anarchia sonora, perché il rigoroso disegno varèsiano garantisce la coesione interna della partitura, pur non allacciandosi a nessuna struttura nota della musica occidentale. I tre temi enunciati in apertura – una figura scattante affidata ai bassi e ai timpani; una sgradevole fanfara; una marcetta al clarinetto e allo xilofono – sono talmente sfuggenti, rapidi e imprendibili, da nascondere immediatamente la ricerca di un qualsiasi inquadramento formale dell’opera. Con questa immediata enunciazione iniziale, non c’è quindi la volontà – da parte di Varèse – di convogliare la materia sonora in ambiti definiti e immediatamente individuabili. Quelli che ho indicato come «i tre temi iniziali», fanno da diversivo, servono per fissare l’estrema mobilità dell’idea varèsiana, in grado di espandere lo spazio sonoro per mezzo di un esorbitante lavorio sulle masse orchestrali. Ne risulta un costante lavoro in corso sui singoli timbri, dai quali – come per germogliamento – spuntano ulteriori effetti tecnici che anticipano di un lustro le conquiste del post-serialismo. Di impressionante c’è che tutto è collegato a quei tre brevissimi sussulti iniziali, a quei tre minuscoli gruppi di particelle sonore che si trasformano, nel corso del brano, l’uno nell’altro, mutando di segno, esplodendo in clamorose esplosioni acustiche e contraendosi in luminosissimi pulviscoli dei fiati, delle percussioni e degli archi. La ricerca armonica – quando è presente – serve solo ad allargare la sfera uditiva, a creare accumuli materiali in grado di sgretolare dall’interno l’architettura musicale. È veramente un nuovo universo, quello che dischiude Edgard Varèse con Arcana e con la sua opera omnia. Lo capisco anche nell’essenziale conclusione del pezzo in questione: un debole bagliore dalle tinte impressionistiche, subito eluso da un senso di falsa rappacificazione in cui è compresso tutto il nervoso dinamismo che ha animato l’intero brano.

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